Onde e durag, una storia americana - Montague Stories
Nel 1966, l’Akron Beacon Journal - un quotidiano locale dell’Ohio - scrive per la prima volta di un «pezzo di stoffa indossato attorno alla fronte come una fascia anti-sudore per tenere i capelli a posto». La “fascia” era indossata quasi esclusivamente da afroamericani, sia uomini che donne. Seppur senza chiamarlo per nome, è la prima volta che in un qualche documento si fa menzione del durag o “do-rag”. Da quel momento in poi il durag diventa uno dei pilastri della cultura estetica afroamericana: grazie alla contemporanea esplosione del movimento “Black is Beautiful" e alle battaglie per i diritti civili degli anni ‘60 e ‘70 il durag comincia ad essere riconosciuto come accessorio fondamentale per la valorizzazione del black pride. Ma cos’è esattamente il durag e come funziona?
Una spiegazione molto convincente l’ha fornita - in una intervista al New York Times - Darren Dowdy, presidente della So Many Waves (azienda produttrice di durag), e figlio di William Dowdy, fondatore dell’azienda e - pare - inventore del durag come parte di un kit grooming. Dowdy si riferiva all’accessorio come “tie down” odiando il termine durag e iniziò a commercializzarlo nel 1979 dopo aver «realizzato di volere qualcosa che tenesse i capelli a posto. Il tie down era nato con l’obiettivo di progettare l’acconciatura». È abbastanza evidente come il durag - come gran parte dei simboli culturali afroamericani - non abbia un’unica origine e se per questo neanche un unico nome: da tie down a “do-rag” (dall’inglese: rag an hairdo, cencio per pettinatura) come ancora il Merriam-Webster riporta fino a durag, non è chiaro come si sia arrivati a quella che attualmente è la definizione più conosciuta.
L’utilizzo del durag parte da ben prima degli anni ‘60, tuttavia: fin dai primi anni del 900 le donne afroamericane costrette a lavorare nelle piantagioni o come schiave utilizzavano i durag per tenere a bada i lunghi capelli afro, un'usanza che si diffuse addirittura negli anni ‘30, durante la Grande Depressione e la Harlem Renaissance. E’ successivamente, tra gli anni ‘70 e ‘80 per l’appunto, che il durag passa dall’essere un accessorio prevalentemente femminile a unisex e anzi, soprattutto maschile. Con l’era del black pride se da una parte si diffondono gli afro, dall’altra - viene mostrato bene in “Malcolm X”, il film di Spike Lee - gli afroamericani si rasano i capelli, e nel mezzo tutti cominciano a portare le “waves”, le onde. In “Sporting Waves”, il secondo episodio della seconda stagione di Atlanta, Tracy - uno dei nuovi personaggi della serie - indossa per l’intera durante dalla puntata un durag per ottenere delle onde perfette da sfoggiare al suo colloquio di lavoro “da bianco”. «Devi prima spazzolarli, finché non trovi l’onda perfetta. Dopodiché li lasci “cucinare“», spiega minuziosamente Tracy a Darius e agli altri. Il colloquio non andrà esattamente come Tracy aveva immaginato, nonostante una acconciatura perfetta. Donald Glover gioca sull’ambiguità di quello che le onde rappresentano nella cultura popolare afroamericana. Se da una parte sono una delle massime espressioni della black aesthetics renaissance, dall’altra potrebbero passare per uno dei diversi modi - assieme a quelli inventati da Madame Walker - per rendere i capelli neri più simili a quelli portati dai bianchi. Con cinismo e una grossa dose di ironia Atlanta trova un modo assolutamente nuovo di parlare di waves: per Tracy le onde sono quanto di più elegante possa fare per presentarsi a un colloquio, non gli interessa rappresentare la blackness e anzi, nella sua visione del mondo, quelle onde sono addirittura un avvicinamento alla cultura bianca. Al colloquio però, la risposta è molto diversa, così come lo è stata per (quasi) tutta la vita delle onde e del durag.
Nel suo saggio “Who Criminalized The Durag”, Brian Josephs scrive: «Per i fratelli come me, il durag è diventato un simbolo dell'eccellenza nera. Allen Iverson probabilmente indossava un durag ogni giorno prima di segnare regolarmente 40 punti a partita. Cam'ron ne aveva uno stretto sotto un bucket rosa quando si è esibito in uno dei più grandi freestyle di sempre nel seminterrato della Rap City. Nelly ne indossava uno giallo nel video "Over and Over" con Tim McGraw, un grande passo avanti verso la cornucopia americana multi-culturale che sognavamo... prima che LL Cool J e il suo cappello Kangol la costruissero per tutti». Quelli che Josephs racconta sono gli anni 90s durante i quali il durag - e di conseguenza le wave - diventano l’avanguardia stilistica dell’estetica nera. Non a caso sono gli stessi anni in cui il rap e l’hip hop conquistano la gioventù americana, sollevando una quantità di problemi irrisolti nel rapporto tra l’America e la blackness che continuano a non trovare una soluzione. Atlanta, d’altronde, nasce proprio da questo. E’ in quegli anni che un accessorio che era sempre stato FUBU (for us, by us) comincia a diventare di dominio pubblico e, quasi di conseguenza, strumentalizzato. Prima la NFL e poi la NBA - due leghe sportive professionistiche a maggioranza nera - introducono un dress code che ha il chiaro obiettivo di non permettere più ai giocatori di essere vestiti come “thug” - un termine che proprio in quegli anni diventa tristemente popolare nell’America bianca conservatrice. E indovinate qual era il principale riconoscimento di un thug?
E’ in quegli anni che il durag raggiunge il suo picco di popolarità: da una parte le discussioni attorno all’accessorio diventano sempre più complesse - come accade per l’hip hop, una parte di America nera non manca di demonizzare qualcosa che poteva contribuire a rendere la vita dei neri più pericolosa agli occhi dei bianchi secondo il vecchio (e razzista) principio della respectability politic. Dall’altra però le più grandi popstar del pianeta - da 50 Cents a Janet Jackson a Jay Z - si mostrano in durag, offrendo quella rappresentazione che era sempre mancata alla gioventù nera. Una battaglia ideologica attorno a un semplice triangolo di stoffa, un concentrato di quello che l’identity politics sarebbe diventata da lì a poco tempo dopo.
Nella sua essenza però, il durag così come le wave restano vezzi estetici, che come qualsiasi comparto della sfera estetica è soggetto ai cicli della moda. La fine degli anni ‘10 del 2000 e l’inizio dei ‘20 coincide con il ritorno del durag, che riappare sulle passerelle, sui palchi più famosi del mondo, al MET con Solange o sulla testa di ASAP Rocky. Icone di stile non solo nero - come Tyler The Creator - ritornano alle wave, ASAP Ferg spiega come allacciare un durag e Telfar Clemens - autore del più incredibile caso culturale nero nel mondo della moda moderna - ripropone una lina di durag. Commentando la release, Jordan Anderson ha scritto su nss magazine: «Questa importanza culturale è il motivo per cui la decisione di Telfar di reinterpretare in senso luxury un oggetto così tradizionalmente legato alla storia della black community è un passo monumentale. Clemens stesso ha commentato così la release della linea su Interview Mag:"Questo durag è pensato per essere una sorta di oggetto di lusso, e i nostri obiettivi, come sempre, sono ancora più accessibilità e ubiquità... Vogliamo essere in ogni braiding spot, barbiere e bodega in America".» Se il mondo della moda e quello dell’arte sono pronti ad accogliere il durag come uno dei molteplici elementi distintivi della black culture che permea ormai ogni scomparto della pop culture moderna, come accetterà questo cambiamento l’industria terziaria americana? Le wave permetteranno a un afroamericano di ottenere un lavoro da bianco nel marketing? Stando alla reazione di Tracy sul finale della seconda puntata della Robbin Season di Atlanta… beh, no.
Ciao, bentornati a Montague: questa era la seconda puntata della nuova stagione. Un formato diverso, come avreste visto, per raccontare una Atlanta che sarà molto diversa. C’è però un’altra grossa novità: è stata finalmente annunciata una terza stagione di Atlanta, “Visitors”, che uscirà il prossimo 24 marzo. Qui potete vedere il trailer, prossimamente ne parleremo per bene, così come parleremo del modo in cui impatterà questa newsletter.
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