Paper Boi, Montague e il concetto di trans-razzialità - Montague Ep. 7
Gli Emmy Award sono i più importanti premi dell'industria televisiva americana. L'"Emmy award for Outstanding Directing for a Comedy Series" è uno di quei premi e - nonostante il nome - viene assegnato a un regista che si è distinto particolarmente nella regia di un episodio di una serie comedy. Negli anni alcuni tra i più importanti registi televisivi americani hanno vinto il premio: dai Fratelli Russo a Ryan Murphy fino a Gail Mancuso. Nessuno di loro però era bianco, fino a quando non è arrivato Donald Glover. Nell'edizione del 2017 Donald Glover si aggiudica il premio, insieme a quello per il ruolo di Earn all'interno di Atlanta, e l'episodio che gli garantisce la vittoria è "B.A.N.", un concentrato di black entertainment che segna in maniera profonda la storia della tv americana. Come ha ricordato Refinery29, fino a quel momento: «il primo regista nero ad essere nominato è stato Eric Laneuville per "Dream On", nel 1993. Poi si è arrivati fino al 2009, quando Millicent Shelton è stata nominata per il suo lavoro su "30 Rock" (la stessa serie a cui Glover ha lavorato come sceneggiatore) e poi Paris Barclay, nominato per tre diverse stagioni di "Glee", senza mai vincere».
Sul palco, al momento di ritirare il premio - un momento mai banale quando c'è Glover, ne avevamo già parlato in Montague - Donald Glover ha ringraziato anche l'allora Presidente degli Stati Uniti: «Voglio ringraziare Trump per aver reso i neri i numeri uno nella lista dei più-oppressi. Lui stesso è probabilmente la ragione per cui sono qui». Probabilmente la cosa più "B.A.N." che potesse fare.
Ciao, bentornati su "Montague", una newsletter di Francesco Abazia (che sarei io) in cui ogni settimana, partendo da un episodio di Atlanta, si prova (o meglio, io provo) a raccontare qualcosa sull'America o sulla black culture. Ogni tanto, potreste trovarci qualcosa di diverso, ma comunque in qualche modo collegato ai temi di cui sopra.
Siete nuovi? Qui potete rileggere la precedente puntata di "Montague", in cui ho parlato di come Atlanta provi a risolvere i problemi nella rappresentazione delle donne nere in TV e al cinema, non riuscendoci però sempre al meglio.
Chi segue "Montague" fin dal suo primo episodio ricorderà questa frase qui sotto:
Perché questa newsletter si chiama "Montague"? Se avete visto Atlanta forse ci sarete già arrivati (e sì, ovviamente esiste anche Google), ma se avete la pazienza di attendere sei settimane sarà più piacevole capirlo e tutto avrà un senso. Promesso.
Ecco: quelle settimane sono poi diventate sette, ma ci siamo, quel momento è oggi! Per celebrare l'episodio che ha dato vita a "Montague" nell'edizione di oggi troverete:
Delle illustrazioni realizzare per "Montague" da Axel Koubs, un illustratore che potete seguire qui e che ringrazio infinitamente.
"Paper Boi incontra Montague": un piccolo podcast realizzato insieme a Tommaso Naccari, autore di "Paper Boi", una newsletter sul rap.
Il link per iscrivervi a Paper Boi e leggere la prossima edizione della newsletter che conterrà un proseguo ideale di questa puntata di Montague.
L'appuntamento per martedì sera sul mio account Instagram per una diretta con ospite Attilio Palmieri, bravissimo critico televisivo con cui approfondiremo struttura e temi di "B.A.N.".
Buonasera, e benvenuti a "Montague"
Nel 2015 Rachel Dolezal era ancora una professoressa e attivista americana di 37 anni, appena eletta presidente della sezione di Spokane della NAACP (la National Association for the Advancement of Colored People). Qualche tempo dopo Dolezal ha cambiato il suo nome in Nkechi Amare Diallo, un nome nigeriano che deriva dalle lingua lgbo e Fula e il cui significato ha a che fare con l'idea di "Dono di Dio". Un nome africano, ad ogni modo, una cosa simile a quella fatta da Cassius Clay, che si liberò del suo nome da schiavo per diventare Mohammed Ali. Alla Eastern Washington University Dolezal insegnava corsi come "Storia Africana", "African American Culture" e "Intro to Africana Studies", e nei primi anni 2000 aveva frequentato la Howard University, una delle più storiche e prestigiose università nere del paese. Per tutti, quella di Rachel Dolezal era la storia di una donna afroamericana di successo; se non fosse per un piccolo particolare: Rachel Dolezal era bianca.
«Quando un pomeriggio una troupe televisiva locale è arrivata per intervistarla, Dolezal ha pensato che fossero lì per parlare dei crimini d'odio che aveva subito. "Sei", ha chiesto il giornalista, "afroamericana?" Come in un cartone animato, i suoi lineamenti si congelarono. "Non capisco la domanda." Il giornalista ha insistito: "I tuoi genitori sono bianchi?" Dolezal ha voltato le spalle alla telecamera ed è fuggita. I filmati della scena hanno fatto il giro del mondo. I genitori bianchi di Dolezal hanno rilasciato fotografie della loro figlia da bambina, bionda e bianca, e sono apparsi in TV per denunciarla per frode; aveva vissuto una bugia, fingendo di essere nera, quando non era più afroamericana di loro. Dolezal si è dimessa dalla sua posizione NAACP, è stata licenziata dall'università, ha perso la sua rubrica sui giornali locali ed è stata rimossa dalla commissione dei difensori civici della polizia. Incantati dalla sua disgrazia, i talk show e le telefonate alla radio sogghignarono e infuriarono. Perché l'ha fatto? Cosa aveva pensato? Quando è emerso che una volta aveva fatto causa a un'università per averla discriminata perché era bianca, la notorietà di Dolezal era oramai totale», ha scritto in una lunghissima e molto completa intervista/profilo sul Guardian Decca Aitkenhead. Dopo essere stata contattata da qualsiasi talk show americano, Dolezal raccontò la sua verità al Today Show, dichiarando: «Sono stata effettivamente identificata come "trans-razziale" quando stavo svolgendo i miei lavori sui diritti umani nell'Idaho settentrionale. Mi identifico come nera».
Durante il settimo episodio di Atlanta, "B.A.N.", completamente ambientato all'interno di una sorta di late show che fa pressapoco il verso all'Eric Andre Show e che si chiama per l'appunto "Montague", facciamo la conoscenza di un giovane afroamericano, Antoine Smalls. Antoine è il protagonista di un servizio, annunciato dal presentatore Franklin Montague come la storia di una transizione di razza. Antoine è infatti un teenager dei sobborghi di Atlanta che si identifica però come un 35-enne del Colorado, Harrison Booth. Tutto in "Montague" (lo show) è assurdo, e quella di Harrison è la storia più surreale di tutte. Ci viene mostrato come un afroamericano dai gusti "da bianco", dalle New Balance al golf fino alla passione per Games of Thrones: Donald Glover si prende gioco di chi in passato si era preso gioco delle sue preferenze culturali, di chi lo aveva definito "white-inside" o "culturalmente bianco", e lo fa attraverso la figura di Harrison - che, al di là di tutto, crede anche di lavorare come ingegnere alla Coca Cola.
Se state in qualche modo associando le due cose, beh, non siete gli unici. In un video pubblicato da BET (la Black Entertainment Television, proprio quella che viene parodizzata in B.A.N., che sta invece per Black American Network) Donald Glover, raccontando della reazione di Martin Scorsese all'episodio di Atlanta conferma come il personaggio di Antoine Smalls nasca proprio dalla volontà di raccontare il paradosso della condizione di trans-razzialità espresso da Dolezal: sottolineare quanto assurdo fosse che Antoine Smalls si dichiarasse bianco era in realtà un espediente narrativo per esprimere, ancora una volta, il privilegio bianco di chi, per anni, era andata tranquillamente in giro spacciandosi per nera. Nel suo lavoro di tesi, Sierriana Terry scrive una cosa molto interessante e importante sul tema, che spiega in maniera abbastanza definitiva il rapporto tra la vicenda Dolezal e quella di Antoine Smalls: : «Questa controversia ha scatenato discussioni sull'opportunità di "provare" la cultura nera senza dover affrontare le lotte della vita nera. Nel suo testo "Black For A Day (2018)", Alisha Gaines rifiuta specificamente la nozione di "trans-razziale" per diversi motivi. La ragione principale è che crede che sia un concetto "unidirezionale" che si sposta solo dai bianchi ai neri. Ad esempio, se una persona nera dovesse in qualche modo "sentirsi bianca", la sensazione di whiteness non può offrire a persone di colore la stessa protezione che garantisce a chi è bianco. D'altra parte, la blackness auto-costruita di Dolezal (principalmente attraverso le caratteristiche fisiche come sostengono Gaines e altri studiosi) non la rimuove dall'essere bianca o, più specificamente, dal privilegio bianco. Pertanto, l'attenzione degli studiosi che questa controversia ha ricevuto si è concentrata sul rifiuto del concetto di identità "trans-razziale" a causa delle ineguali dinamiche di potere socioeconomico che esistono tra bianchi e neri. Queste controversie che circondano entrambi gli eventi hanno acceso discussioni accademiche e pubbliche sulla blackness, con particolare enfasi sui concetti di colorismo, appropriazione culturale e identità “trans-razziale”».
Il rifiuto dell'utilizzo del termine trans-razzialità per riferirsi a quanto inteso da Dolezal o dallo stesso Smalls derivano, banalmente, dal fatto che per trans-razzialità si intende in realtà un'altra cosa: «Ma trans-razziale non significa ciò che alcuni americani bianchi come Dolezal apparentemente desiderano. Il termine ha origine da circoli adottivi e accademici per descrivere l'esperienza dei bambini cresciuti in famiglie fenotipicamente e culturalmente diverse dalla loro nascita, spesso neri che vivono in contesti "bianchi"», scrive Syreeta McFadden sul Guardian, dove riporta anche una puntuale definizione della scrittrice Ellie Freeman sulla questione: «Essere trans-razziali non è affatto simile a "sentirsi nero" ... Non è nemmeno come la disforia di genere - la politica di razza e genere non è intercambiabile in questo contesto. A differenza di molti neri americani, il background familiare di Rachel non porta il trauma della schiavitù e del razzismo istituzionalizzato. A differenza delle persone che sono veramente trans-razziali, Rachel non è stata fisicamente divisa tra due culture e non le è stata negata una conoscenza intima della sua cultura di nascita. A differenza dei neri e degli adottati trans-razziali, Rachel non ha dovuto affrontare entrambe queste esperienze che hanno influito sulla vita allo stesso tempo». Il dibattito attorno alla trans-razzialità è infatti molto lungo, molto complesso e difficile da comprendere come spiega bene questo paper. Nel paper "‘Acting White’ and ‘Acting Black’: Exploring Transracial Adoption, Middle-Class Families, and Racial Socialization" Colleen Butler-Sweet spiega come l'idea delle adozioni trans-razziali sia spesso ritenuta controversa, generate dalla convinzione che le famiglie bianche - anche quelle con le migliori intenzioni - possano non essere "pronte" o preparate ad aiutare i bambini neri a inserirsi e sopravvivere nella società americana. Addirittura, circa 40 anni fa, la National Association of Black Social Workers (NABSW) si oppose alle TRA (le adozioni trans-razziali).
In "B.A.N.", il servizio che parla di Antoine Smalls si chiama, in maniera volutamente provocatoria, "Trans-Racial". Per lanciarlo Franklin Montague associa la transizione di razza a quella di genere, equiparando di fatto la transessualità alla trans-razzialità. «Se potessimo celebrare in maniera diffusa la transizione di Bruce Jenner a "Caitlyn", alcune persone hanno chiesto, perché Rachel non poteva passare a nera?», scrive, ponendo l'argomento della controparte in toni ovviamente provocatori, Khadijah White su Quartz. Il vizio non è così raro come potrebbe sembrare, spiega White. D'altronde genere e razza sono entrambi costrutti sociali, si dice. Il perché sarebbe insensato paragonare le due cose è ben spiegato da questo bellissimo e davvero consigliatissimo paper pubblicato sul Boston Review da Robin Dembroff e Dee Payton dal titolo abbastanza eloquente "Why We Shouldn't Compare Transracial to Transgender Identity". Gli autori espongono inizialmente la loro tesi in questi termini: «pensiamo che ci sia un'asimmetria profondamente importante tra l'affermazione di Jenner di essere una donna e la pretesa di Diallo di essere nera. Pensiamo anche che, come risultato di questa asimmetria, le identità transgender meritino una diffusione sociale e le cosiddette identificazioni "trans-razziali" invece no. In altre parole, pensiamo che le donne e gli uomini transgender dovrebbero essere riconosciuti e trattati come donne e uomini (rispettivamente), ma che le persone non dovrebbero essere riconosciute e trattate come nere esclusivamente sulla base dell'autoidentificazione». Questa tesi viene supportata da diverse teorie filosofiche, alla cui base però viene posto un assioma abbastanza importante: «Essere neri negli Stati Uniti è simile ad essere una persona che si qualifica per le riparazioni IRSSA in almeno un aspetto importante: essere neri non è semplicemente una questione di identificazione interna; è anche una questione di come la tua comunità e i tuoi antenati sono stati trattati da altre persone, istituzioni e governi.» Nel paper viene ricordato come nello stesso anno, il 2015, in cui l'America si è ritrovata a parlare del caso Dolezal, l'ex campione olimpionico Bruce Jenner compiva la sua transizione in Caitlyn Jenner, annunciata attraverso una iconica copertina di Vanity Fair. Proprio di Caitlyn Jenner si parla in apertura di "B.A.N.", con Franklin Montague che accusa Paper Boi di tweet transofobici verso Jenner e il rapper che si giustifica con l'idea del "è solo rap". I commenti transofobici verso Caitlyn Jenner non sono un espediente narrativo utilizzato a caso da Glover: il rapper Wacka Flocka Flame al tempo definì la transizione un "castigo di Dio", dichiarando poi di non aver nulla contro i transgender ma... di non essere un fan della faccenda. Anche Eminem, in un freestyle andato in onda durante il lo show Sway in the Morning, aveva utilizzato delle frasi transofobiche verso la Jenner. Qualche anno più tardi, il rapper Westside Gunn ha dichiarato che la colpa della malattia mentale di Kanye era in qualche modo da ricondurre a Caitlyn Jenner e al fatto che i suoi bambini fossero dovuto crescere chiamando il nonno "nonna". Kanye che, peraltro, è stato definito da Okayplayer il "Rachel Dolezal" dell'America nera.
Del rapporto tra rap, sessualità, trans-razzialità (e anche Kanye e Donald Glover) abbiamo parlato nel breve ed esclusivo podcast realizzato insieme a Tommaso Naccari di Paper Boi. Lo trovate qui di seguito, mentre qui c'è il link per iscriversi alla sua newsletter e leggera l'ideale seconda parte di questa newsletter.
Cliccate sull'immagine qui su per ascoltare il podcast su Mixcloud
Nella settima puntata di "Montague" abbiamo parlato di trans-razzialità... ma di cos'altro avremmo potuto parlare?
Montague, lo show che occupa tutto il settimo episodio di Atlanta, viene sistematicamente interrotto da spot pubblicitari, che non hanno un vero e proprio obiettivo nella narrazione dell'episodio, se non quello di mostrare la versione "nera" delle tradizionali pubblicità di solito riservate ai bianchi. C'è lo spot della Dodge, un'auto sportiva che ti permette di "dire qualcosa senza il bisogno di dire niente", che si rivelerà molto diverso da quello che sembra; o ancora quello di AriZona o delle bevanda Mickeys; o ancora dei sigari o una sorta di hotline per ricevere le risposte per la tua vita - promossa da uno strano figuro che avevamo già visto girovagare per Atlanta di notte, in autobus, dispensando consigli di vita. E poi ci sono i cereali Coconut Crunchos.
In un pezzo, di cui avevo già inserito qualche parte qui su Montague, scritto per Link avevo scritto dello sport: «mostra tre ragazzini afroamericani che mangiano i cereali: alle loro spalle arriva un lupo che, invece di puntare a mangiare i ragazzini, vuole i cereali. Il lupo è però bruscamente bloccato dalla polizia che lo atterra e gli piazza un ginocchio sulla schiena. I ragazzini protestano per l’uso spropositato della forza da parte del poliziotto e cominciano a registrare tutto con lo smartphone. La sequenza, che parodizza la police brutality (ma che, vista ad anni di distanza, ricorda tragicamente la morte di George Floyd), è un distillato perfetto di come Glover ha inteso il suo lavoro: utilizzare la satira e la parodia, mescolando il dark humor e una visione chiara e realistica della realtà per raccontare la black experience». Quella sequenza diventa una delle cose preferite di ogni fan di Atlanta, una sorta di inside joke per fan, tanto che la produzione arriverà a produrre effettivamente i cereali, piazzandogli al suo interno anche delle manette. Lo sketch è rimasto talmente tanto nella memoria collettiva nera da essere stato riproposto in massa quando il video della morte di George Floyd è apparso in rete, dimostrando una volta di più - se fosse ancora necessario - quanto intensamente Atlanta riesca a restituire l'America Nera.
Ma questa, oramai lo sapete, è un'altra storia.
Montague per oggi finisce qui, spero questa intensa puntata vi sia piaciuta. Vi ricordo che il tutto prosegue su Paper Boi e martedì sera sul mio profilo Instagram con una live interamente dedicata a questa puntata. Ho poi un altro annuncio da farvi: da oggi Montague diventa bisettimanale, quindi ci rivediamo tra 15 giorni per parlare - più o meno, come avrete capito - dell'ottavo episodio di Atlanta.
Se avete suggerimenti, cose da chiedermi, feedback o mi volete solo salutare potete rispondere a questa mail o scrivermi a francescoabazia@gmail.com, se invece vi piacciono di più i social questo è il mio Instagram, questo il mio Twitter e questo il mio Facebook.
Se Montague vi è piaciuta, o pensate possa piacere a un amico, inoltrate questa mail o mandategli semplicemente questo link.