Tutti odiano il club (tranne James Harden) - Montague Ep. 08
Nel corso dell'oramai (per i lettori "Montague") celebre intervista/profilo del New Yorker, Donald Glover, parlando delle ragioni per cui aveva realizzato Atlanta, disse: «Voglio che i bianchi sperimentino davvero il razzismo, che sentano com'è essere neri in America. La gente viene ad Atlanta per gli strip club, per la musica e per stare bene, ma la parte cruda della storia è che tutte quelle persone che incontrano non stanno tutto il giorno a fumare erba perché fuori il tempo è bello, ma perché sono affette da PTSD. Ogni persona nera in America lo è». Se Atlanta voleva offrire la miglior rappresentazione veritiera di Atlanta, non poteva quindi prescindere dagli strip club. Non a caso una parte considerevole dello show si svolge all'interno o nei dintorni di uno strip club: come ha scritto Christina Lee su The Village Voice, Atlanta è l'unico show televisivo davvero onesto sugli strip club: «A differenza di altre rappresentazioni della cultura pop degli strip club di Atlanta, dove i soldi non sembrano mai un problema, lo spettacolo di Glover ci rende dolorosamente consapevoli del costo di uno strip club». Nel profondo, tutti odiano i club.
Ciao, bentornati su "Montague", una newsletter di Francesco Abazia (che sarei io) in cui ogni due settimane, partendo da un episodio di Atlanta, si prova (o meglio, io provo) a raccontare qualcosa sull'America o sulla black culture. Ogni tanto, come capitato di recente, potreste trovarci qualcosa di diverso, ma comunque in qualche modo collegato ai temi di cui sopra.
Siete nuovi? Qui potete rileggere tutto quello che è successo in "Montague", compreso il motivo per cui questa newsletter si chiama "Montague e un mini podcast, sempre partendo da Donald Glover e da Atlanta.
Partiamo? Direi di sì, nel frattempo non dimenticate di inoltrare questa mail agli amici e/o invitarli a iscriversi a Montague inviando questo link. È in arrivo anche la seconda stagione con tantissime sorprese.
Sei sei al club significa che, nel profondo, vuoi davvero essere al club
La storica vittoria di Joe Biden in Georgia, quelle di Jon Ossoff e soprattutto di Raphael Warnock - il primo afroamericano ad essere nominato senatore in Georgia - ai ballottaggi per il Senato sono tutte, in buona parte, attribuibili a un fenomeno: l'enorme aumento degli "elegible voters" afroamericani nello stato. Secondo il Pew Research Center infatti, dal 2000 al 2019 quel numero è cresciuto di più del 48%, un fatto straordinario, merito del lavoro di persone come Stacey Abrams, e di una mobilitazione generale dal basso che ha incentivo gli abitanti afroamericani della Georgia, che sono quasi tutti concentrati ad Atlanta, ad andare a votare. In mezzo a questa massiccia campagna c'è stato anche "Get Your Booty to the Poll" (ne avevamo già parlato in "Montague") uno dei più virali "voting video" degli ultimi anni, in cui le ragioni per andare a votare erano direttamente spiegate dalle stripper. Il video era stato diretto da Angela Barnes con la voce di Stephen Glover, due delle persone che collaborano con Donald Glover alla realizzazione di Atlanta. Intervistata sul perché avesse deciso di incentrare il video sul tema, Barnes ha risposto: «Atlanta ha una vera e propria strip club culture. Le persone vanno agli appuntamenti negli strip club, le persone si sposano e danno funerali negli strip club. La gente non va negli strip club solo per vedere persone nude. Ci va per le vibrazioni che il posto trasmette».
La strip culture è talmente tanto popolare ad Atlanta da aver generato un soprannome ad hoc per la città: Hotlanta. Tra i diversi altri nomi con cui Atlanta viene chiamata ("A City Too Busy To Hate", "ATL" o ancora "The Big Peach" - avete presente le locandine dello show TV? ecco spiegato il motivo) Hotlanta è quello che non ha mai fatto particolarmente felice nessuno - e che nessun abitante di Atlanta ha realmente mai utilizzato. «Hotlanta è un soprannome molto vecchio che si porta appresso connotazioni davvero molto limitanti. Non rappresenta la città vibrante ed elettrica che siamo diventati», si legge sull'Atlanta Magazine. Al di là degli spiacevoli soprannomi, la strip club culture ad Atlanta è una cosa molto seria, e profondamente diversa da come ce la immaginiamo. Innanzitutto, il confine tra club e strip club è parecchio più labile di quello che esiste nelle altri parti d'America.
Lo ha spiegato Joe Caramanica, uno dei migliori critici di musica pop americani, sul New York Times, nel suo pezzo del 2012 "Business and Pleasure": «Magic City, Blue Flame, Cheetah, Diamonds of Atlanta, Follies: come alcune città sono famose per i loro ristoranti, i loro musei o la loro architettura di fine secolo, i punti di riferimento di Atlanta sono gli strip club. Nello stesso modo in cui le persone a Los Angeles o Miami potrebbero chiederti se hai visitato la spiaggia, ad Atlanta, ti viene chiesto se hai visto le spogliarelliste. E ad Atlanta più che in qualsiasi altra città, la cultura hip-hop si sovrappone pesantemente a questo mondo. Lo strip club è il luogo in cui viene provata la nuova musica, dove le stelle vanno per essere viste o per rilassarsi, dove il valore di una canzone può essere misurato dal numero di dollari che volano verso il cielo quando suona.
Ma per i rapper che cercano di farsi un nome oltre i confini della città, questa venerabile scena di strip club si è trasformata in una specie di albatro. I nuovi campioni dei club di Atlanta - come Travis Porter, Future e Cash Out - si sono tutti fatti le ossa in posti come il Follies, ma hanno combattuto per il mainstream con più tenacia dei loro predecessori. In un certo senso, stanno scappando dalla storia».
"The Club", l'ottava puntata di Atlanta, si svolge interamente all'interno di un club, che non è esattamente uno strip club, dove invece sono stati, e saranno in futuro, ambientati diversi altri episodi della serie. L'episodio passa nella speranza che Alfred - uno dei due ospiti della serata - venga notato e che il suo manager, Earn, venga pagato. Come descritto da Caramanica nel suo pezzo, spesso ad Atlanta sono stati i club a decidere della carriera dei rapper, e nel club nessuno sembra conoscere Paper Boi (a parte uno svitato che rappa a memoria le sue canzoni). In una lunga inchiesta di Devin Friedman su GQ sul Magic City - definito il club più importante d'America - City Dollars, un influente manager musicale di Atlanta, ha detto: «Devi essere qui ogni settimana se vuoi fare qualcosa nel gioco rap. Ottieni le migliori donne nello stato della Georgia. Ottieni il Who's Who delle strade qui. Puoi avere Young Thug, Future, 2 Chainz qui nella stessa notte. E ottieni DJ Esco. Se Esco suona il tuo disco ...? Tutto ciò che Esco tocca qui è fuori classifica». I lunedì del Magic City sono diventati nel tempo leggendari, il più importante appuntamento cittadino; come ha detto Jarmaine Dupri ad Atlanta Magazine: «Puoi andare lunedì sera e stare accanto a un milionario, il più grande ladro di Atlanta, il più grande spacciatore di Atlanta, la polizia e uno dei più grandi rapper o artisti R&B del mondo, tutti nella stessa stanza». Il Magic City è così influente da entrare anche nelle interviste a Donald Glover, come un vero e proprio benchmark con cui qualsiasi personaggio di una serie ambientata ad Atlanta deve fare i conti. I personaggi di Atlanta andrebbero al Magic City? «Non posso garantirlo. Mi sembra che gli strip club siano una parte molto importante della cultura di Atlanta, ma il Magic City è quasi una trappola per turisti a questo punto. È un posto turistico, dove le persone dicono, 'Oh, devi andare a Magic City.' Non stiamo andando dritti al punto, sai? Ci sono un sacco di altri fantastici strip club, strip club regionali che sono fantastici».
Quello che Glover - o meglio, Murai, che dirige l'episodio - mette in mostra in "The Club" è un momento di straniante normalità, un spaccato umano della vita di un rapper di Serie B che cerca di fare fortuna all'interno di un club. Allo stesso tempo però - attraverso una incredibile conversazione tra Earn e una bartender - Glover si prende gioco delle stereotipo del businessman che si illude di frequentare il club solo per necessità lavorative, quando invece, ad Atlanta più che in ogni altro posto d'America, il club non è nient'altro che l'ennesimo mezzo utilizzato per avere successo e dunque, accrescere il proprio ego. Come al solito Glover gioca con gli archetipi, riuscendo in maniera perfetta a passare dall'analisi generale a quella particolare. "The Club" è uno degli episodi teoricamente meno ricchi, ma più unici di tutta Atlanta. La rappresentazione della vita di un club, e delle persone che vanno nei club, è assolutamente realistica (come lo sono le foto di The Gods, uno splendido libro di Ivan Wingan), men che per una cosa: «A differenza della maggior parte degli spettacoli televisivi o dei film, il club dell'ottavo episodio di "Atlanta" non era raffigurato come un luogo lussuoso in cui tutti erano belli e vestiti a festa, e si divertivano un mondo. Il Primal, una club di Atlanta e in "Atlanta", ha rappresentato la vera esperienza del club: Earn non beve, Darius è uscito presto per andare a casa a mangiare cereali e giocare ai videogiochi e Paper Boi era annoiato a morte. Quindi, quando "Knuck If You Buck" è apparsa durante l'episodio, la maggior parte delle persone si aspettava naturalmente che lo show rimanesse fedele alle sue radici e generasse nel pubblico presente una risposta adeguata a una canzone così monumentale», ha scritto The Wrap, lamentando la scarsa reazione che il pubblico dell'episodio a una particolare traccia passata da DJ.
Il riferimento è al leggendario pezzo dei Crime Mob, un gruppo di Southern Rap diventato celebre praticamente solo per quel pezzo, che è però entrato nella storia americana come un "fire-starter": nella seconda metà degli anni 2000 infatti prima un giovane venne accoltellato dopo che il pezzo era stato suonato in una festa in un albergo e qualche anno dopo sempre lo stesso pezzo e poi è diventato motivo di una enorme rissa addirittura ad Harvard, durante una festa organizzata dalla Harvard Society of Black Scientists and Engineers.
Nella ottava puntata di "Montague" abbiamo parlato di strip club culture... ma di cos'altro avremmo potuto parlare?
La serata al club di Paper Boi è, di fatto, rovinata dalla presenza di Marcus Miles, un giocatore degli Atlanta Hawks (il team NBA della città) che è più ricco, più cool e più famoso di lui. Marcus Miles in realtà non esiste - nonostante esistano tantissimi giocatori, James Harden in primis, molto noti nei club e strip club degli Stati Uniti del Sud - ma all'interno dello show Darius mostra ad Alfred una foto dal suo profilo Instagram in cui Miles è poggiato sulla sua macchina invisibile. «Non è neanche reale», dice allora Alfred, «sì, è un qualche tipo di prototipo», gli risponde Darius, continuando a scrollare un profilo Instagram che esiste realmente, ed è stato aperto proprio il giorno in cui è andata in onda negli Stati Uniti l'ottava puntata di Atlanta.
Alla fine dell'episodio, quando tutti oramai sembrano essersi rassegnati all'esito della serata, scoppia una sparatoria e tutti si mettono in macchina. Compreso Marcus Miles, che scappa via stendendo più d'una persona. Il colpo di scena è tipico del surrealismo di Atlanta: quel momento è rientrato in tantissime classifiche dei "migliori momenti di Atlanta": «L'auto invisibile è una variante di qualcosa chiamato "brick joke": un paio di battute in cui la prima imposta un elemento irrisolto che ritorna come battuta finale della seconda, idealmente dopo che l'ascoltatore se ne è dimenticato», ha scritto James Poniewozik sul NYT, mentre su The Ringer Lindsay Zoladz scrive: «Era una sottile dichiarazione di intenti per gli spettatori più attenti: questo è uno spettacolo che trova un umorismo cupo nelle stronzate, uno spettacolo che ascolta i pazzi. Questo è uno spettacolo che crede, così silenziosamente, nella magia». Non esiste una vera e propria spiegazione della macchina invisibile, se non da ritrovare in quel filone di surrealismo nero (o afrosurrealismo) che, proprio negli anni in cui Atlanta diventava la serie preferita d'America ha trovato il suo spazio a Hollywood e in TV. Ma questa, come sapete, è un'altra storia.
Montague per oggi finisce qui, ci risentiamo tra due settimana per parlare - più o meno - del nono episodio di Atlanta, uno dei miei preferiti.
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