Montague Archive - Passare per qualcun altro
Cos'è il passing e cosa significa "trans-razzialità"?
Dal 10 novembre, su Netflix, è disponibile “Passing”, un film in bianco e nero che segna l’esordio alla regia per Rebecca Hall e che era stato presentato alla scorsa edizione del Sundance Festival. Il film si basa sull’omonimo romanzo del 1929 di Nella Larsen, una delle più importanti autrici della cosiddetta Harlem Reinassance, nonché dell’intero movimento modernista americano. “Passing” racconta dell’amicizia tra due donne: Irene e Clare. Entrambe parte di una sorta di borghesia newyorkese, sono accomunate da un’altra caratteristica fondamentale: sono nere ma “passano” per bianche”. In generale, il fenomeno del “passing” si riferisce al meccanismo per cui membri di una minoranza cercano di essere percepiti come appartenenti a una maggioranza, per assicurarsene i benefici. Storicamente poi, con il passing ci si è riferiti soprattutto agli afroamericani che - a partire dall’epoca Ante-Bellum - cercavano di passare per bianchi, scappando alla schiavitù o alla segregazione.
Il film - girato interamente in bianco e nero così da “agevolare” questa confusione - riesce in maniera perfetta e delicata a raccontare motivazioni, sentimenti e sensazioni del passing. Mentre quello di Irene (interpretata da Tessa Thompson) è un passing “sociale” - lei è sposata con un afroamericano e dopo gli incontri d’elite con la sua amica ritorna a Harlem - quello di Clare è un passing “fisico” - è sposata con un bianco e vive effettivamente la sua vita come se fosse bianca. Oltre ad essere ben diretto e molto elegante, “Passing” è un film molto moderno, che intreccia intersezionalità, cronaca razziale e il racconto di un modo molto particolare di vivere la propria identità, che negli Stati Uniti è stato molto più presente di quanto si possa immaginare e ha segnato le vite di tantissimi afroamericani e non. Tra questi anche il nonno di Rebecca Hall, afroamericano che «ha passato tutta la vita a passare per bianco», come la stessa attrice ha ricordato.
“Passing” mi ha fatto tornare in mente una delle più lunghe puntate della prima puntata di Montague, quella che ha dato a tutti gli effetti il nome all’intera newsletter, l’episodio numero 7 (lo potete rileggere qui). Nella puntata, tra le altre cose, si parla di Rachel Dolezal e di quello che è stato definito “reverse passing”.
Questo è dunque “Montague Archive”, un numero speciale di Montague in attesa dell’inizio ufficiale di “Montague Stories”.
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Nel 2015 Rachel Dolezal era ancora una professoressa e attivista americana di 37 anni, appena eletta presidente della sezione di Spokane della NAACP (la National Association for the Advancement of Colored People).
Qualche tempo dopo Dolezal ha cambiato il suo nome in Nkechi Amare Diallo, un nome nigeriano che deriva dalle lingua lgbo e Fula e il cui significato ha a che fare con l'idea di "Dono di Dio". Un nome africano, ad ogni modo, una cosa simile a quella fatta da Cassius Clay, che si liberò del suo nome da schiavo per diventare Mohammed Ali. Alla Eastern Washington University Dolezal insegnava corsi come "Storia Africana", "African American Culture" e "Intro to Africana Studies", e nei primi anni 2000 aveva frequentato la Howard University, una delle più storiche e prestigiose università nere del paese. Per tutti, quella di Rachel Dolezal era la storia di una donna afroamericana di successo; se non fosse per un piccolo particolare: Rachel Dolezal era bianca.
«Quando un pomeriggio una troupe televisiva locale è arrivata per intervistarla, Dolezal ha pensato che fossero lì per parlare dei crimini d'odio che aveva subito. "Sei", ha chiesto il giornalista, "afroamericana?" Come in un cartone animato, i suoi lineamenti si congelarono. "Non capisco la domanda." Il giornalista ha insistito: "I tuoi genitori sono bianchi?" Dolezal ha voltato le spalle alla telecamera ed è fuggita. I filmati della scena hanno fatto il giro del mondo. I genitori bianchi di Dolezal hanno rilasciato fotografie della loro figlia da bambina, bionda e bianca, e sono apparsi in TV per denunciarla per frode; aveva vissuto una bugia, fingendo di essere nera, quando non era più afroamericana di loro. Dolezal si è dimessa dalla sua posizione NAACP, è stata licenziata dall'università, ha perso la sua rubrica sui giornali locali ed è stata rimossa dalla commissione dei difensori civici della polizia. Incantati dalla sua disgrazia, i talk show e le telefonate alla radio sogghignarono e infuriarono. Perché l'ha fatto? Cosa aveva pensato? Quando è emerso che una volta aveva fatto causa a un'università per averla discriminata perché era bianca, la notorietà di Dolezal era oramai totale», ha scritto in una lunghissima e molto completa intervista/profilo sul Guardian Decca Aitkenhead. Dopo essere stata contattata da qualsiasi talk show americano, Dolezal raccontò la sua verità al Today Show, dichiarando: «Sono stata effettivamente identificata come "trans-razziale" quando stavo svolgendo i miei lavori sui diritti umani nell'Idaho settentrionale. Mi identifico come nera».
Durante il settimo episodio di Atlanta, "B.A.N.", completamente ambientato all'interno di una sorta di late show che fa pressapoco il verso all'Eric Andre Show e che si chiama per l'appunto "Montague", facciamo la conoscenza di un giovane afroamericano, Antoine Smalls. Antoine è il protagonista di un servizio, annunciato dal presentatore Franklin Montague come la storia di una transizione di razza. Antoine è infatti un teenager dei sobborghi di Atlanta che si identifica però come un 35-enne del Colorado, Harrison Booth. Tutto in "Montague" (lo show) è assurdo, e quella di Harrison è la storia più surreale di tutte. Ci viene mostrato come un afroamericano dai gusti "da bianco", dalle New Balance al golf fino alla passione per Games of Thrones: Donald Glover si prende gioco di chi in passato si era preso gioco delle sue preferenze culturali, di chi lo aveva definito "white-inside" o "culturalmente bianco", e lo fa attraverso la figura di Harrison - che, al di là di tutto, crede anche di lavorare come ingegnere alla Coca Cola.
Se state in qualche modo associando le due cose, beh, non siete gli unici. In un video pubblicato da BET (la Black Entertainment Television, proprio quella che viene parodizzata in B.A.N., che sta invece per Black American Network) Donald Glover, raccontando della reazione di Martin Scorsese all'episodio di Atlanta conferma come il personaggio di Antoine Smalls nasca proprio dalla volontà di raccontare il paradosso della condizione di trans-razzialità espresso da Dolezal: sottolineare quanto assurdo fosse che Antoine Smalls si dichiarasse bianco era in realtà un espediente narrativo per esprimere, ancora una volta, il privilegio bianco di chi, per anni, era andata tranquillamente in giro spacciandosi per nera. Nel suo lavoro di tesi, Sierriana Terry scrive una cosa molto interessante e importante sul tema, che spiega in maniera abbastanza definitiva il rapporto tra la vicenda Dolezal e quella di Antoine Smalls: : «Questa controversia ha scatenato discussioni sull'opportunità di "provare" la cultura nera senza dover affrontare le lotte della vita nera. Nel suo testo "Black For A Day (2018)", Alisha Gaines rifiuta specificamente la nozione di "trans-razziale" per diversi motivi. La ragione principale è che crede che sia un concetto "unidirezionale" che si sposta solo dai bianchi ai neri. Ad esempio, se una persona nera dovesse in qualche modo "sentirsi bianca", la sensazione di whiteness non può offrire a persone di colore la stessa protezione che garantisce a chi è bianco. D'altra parte, la blackness auto-costruita di Dolezal (principalmente attraverso le caratteristiche fisiche come sostengono Gaines e altri studiosi) non la rimuove dall'essere bianca o, più specificamente, dal privilegio bianco. Pertanto, l'attenzione degli studiosi che questa controversia ha ricevuto si è concentrata sul rifiuto del concetto di identità "trans-razziale" a causa delle ineguali dinamiche di potere socioeconomico che esistono tra bianchi e neri. Queste controversie che circondano entrambi gli eventi hanno acceso discussioni accademiche e pubbliche sulla blackness, con particolare enfasi sui concetti di colorismo, appropriazione culturale e identità “trans-razziale”».
Il rifiuto dell'utilizzo del termine trans-razzialità per riferirsi a quanto inteso da Dolezal o dallo stesso Smalls derivano, banalmente, dal fatto che per trans-razzialità si intende in realtà un'altra cosa: «Ma trans-razziale non significa ciò che alcuni americani bianchi come Dolezal apparentemente desiderano. Il termine ha origine da circoli adottivi e accademici per descrivere l'esperienza dei bambini cresciuti in famiglie fenotipicamente e culturalmente diverse dalla loro nascita, spesso neri che vivono in contesti "bianchi"», scrive Syreeta McFadden sul Guardian, dove riporta anche una puntuale definizione della scrittrice Ellie Freeman sulla questione: «Essere trans-razziali non è affatto simile a "sentirsi nero" ... Non è nemmeno come la disforia di genere - la politica di razza e genere non è intercambiabile in questo contesto. A differenza di molti neri americani, il background familiare di Rachel non porta il trauma della schiavitù e del razzismo istituzionalizzato. A differenza delle persone che sono veramente trans-razziali, Rachel non è stata fisicamente divisa tra due culture e non le è stata negata una conoscenza intima della sua cultura di nascita. A differenza dei neri e degli adottati trans-razziali, Rachel non ha dovuto affrontare entrambe queste esperienze che hanno influito sulla vita allo stesso tempo». Il dibattito attorno alla trans-razzialità è infatti molto lungo, molto complesso e difficile da comprendere come spiega bene questo paper. Nel paper "‘Acting White’ and ‘Acting Black’: Exploring Transracial Adoption, Middle-Class Families, and Racial Socialization" Colleen Butler-Sweet spiega come l'idea delle adozioni trans-razziali sia spesso ritenuta controversa, generate dalla convinzione che le famiglie bianche - anche quelle con le migliori intenzioni - possano non essere "pronte" o preparate ad aiutare i bambini neri a inserirsi e sopravvivere nella società americana. Addirittura, circa 40 anni fa, la National Association of Black Social Workers (NABSW) si oppose alle TRA (le adozioni trans-razziali).
In "B.A.N.", il servizio che parla di Antoine Smalls si chiama, in maniera volutamente provocatoria, "Trans-Racial". Per lanciarlo Franklin Montague associa la transizione di razza a quella di genere, equiparando di fatto la transessualità alla trans-razzialità. «Se potessimo celebrare in maniera diffusa la transizione di Bruce Jenner a "Caitlyn", alcune persone hanno chiesto, perché Rachel non poteva passare a nera?», scrive, ponendo l'argomento della controparte in toni ovviamente provocatori, Khadijah White su Quartz. Il vizio non è così raro come potrebbe sembrare, spiega White. D'altronde genere e razza sono entrambi costrutti sociali, si dice. Il perché sarebbe insensato paragonare le due cose è ben spiegato da questo bellissimo e davvero consigliatissimo paper pubblicato sul Boston Review da Robin Dembroff e Dee Payton dal titolo abbastanza eloquente "Why We Shouldn't Compare Transracial to Transgender Identity". Gli autori espongono inizialmente la loro tesi in questi termini: «pensiamo che ci sia un'asimmetria profondamente importante tra l'affermazione di Jenner di essere una donna e la pretesa di Diallo di essere nera. Pensiamo anche che, come risultato di questa asimmetria, le identità transgender meritino una diffusione sociale e le cosiddette identificazioni "trans-razziali" invece no. In altre parole, pensiamo che le donne e gli uomini transgender dovrebbero essere riconosciuti e trattati come donne e uomini (rispettivamente), ma che le persone non dovrebbero essere riconosciute e trattate come nere esclusivamente sulla base dell'autoidentificazione». Questa tesi viene supportata da diverse teorie filosofiche, alla cui base però viene posto un assioma abbastanza importante: «Essere neri negli Stati Uniti è simile ad essere una persona che si qualifica per le riparazioni IRSSA in almeno un aspetto importante: essere neri non è semplicemente una questione di identificazione interna; è anche una questione di come la tua comunità e i tuoi antenati sono stati trattati da altre persone, istituzioni e governi.» Nel paper viene ricordato come nello stesso anno, il 2015, in cui l'America si è ritrovata a parlare del caso Dolezal, l'ex campione olimpionico Bruce Jenner compiva la sua transizione in Caitlyn Jenner, annunciata attraverso una iconica copertina di Vanity Fair. Proprio di Caitlyn Jenner si parla in apertura di "B.A.N.", con Franklin Montague che accusa Paper Boi di tweet transofobici verso Jenner e il rapper che si giustifica con l'idea del "è solo rap". I commenti transofobici verso Caitlyn Jenner non sono un espediente narrativo utilizzato a caso da Glover: il rapper Wacka Flocka Flame al tempo definì la transizione un "castigo di Dio", dichiarando poi di non aver nulla contro i transgender ma... di non essere un fan della faccenda. Anche Eminem, in un freestyle andato in onda durante il lo show Sway in the Morning, aveva utilizzato delle frasi transofobiche verso la Jenner. Qualche anno più tardi, il rapper Westside Gunn ha dichiarato che la colpa della malattia mentale di Kanye era in qualche modo da ricondurre a Caitlyn Jenner e al fatto che i suoi bambini fossero dovuto crescere chiamando il nonno "nonna". Kanye che, peraltro, è stato definito da Okayplayer il "Rachel Dolezal" dell'America nera.